Da "APRIL IN PARIS" - Thelonius Monk -
Thelonius Monk è un musicista che causa due tipi di reazione. Ci sono coloro i quali affermerebbero che il suo stile musicale così rigido e piuttosto spigoloso, si sarebbe spinto così lontano da dover essere considerato del "non jazz", e che in realtà non fu musica. C’è invece chi pensa che la parola "stile" non possa essere associata all’uomo. Ciò che lui suona, è effettivamente il jazz nel senso della parola stessa. Infatti, non esiste una linea separatrice tra il comporre e l’improvvisazione, e Monk non ha copiato nulla né da altri generi musicali, né da altri musicisti. Anche quando suona gli standard, traduce la sostanza semplicemente in sé stesso. É come un parrucchiere della musica che taglia la parte sdolcinata e lascia il motivo nudo come poteva essere in origine, ma in apparenza, completamente diverso. Tale libertà, aiuterà l’ascoltatore privo di pregiudizi a convincersi del fatto che quest’opinione risulta essere la più assennata.
Thelonius Sphere Monk nacque a Rocky Mount nella Carolina del Nord nel 1917, e quand’era ancora bambino, si spostò con la sua famiglia a New York. Diversamente da molti altri suoi coetanei, egli proveniva da una famiglia agiata. Da ragazzo mostrò un piccolo interesse per il jazz, in quanto lo sport era la sua vera passione. Giocava infatti, molto bene a ping-pong, e non fu prima dei vent’anni che fu suppergiù in grado di esibirsi. Da allora incominciò a progredire abbastanza rapidamente; diede lezioni private e non fu molto tempo prima che decise di avventurarsi alla Minton’s Playhouse e alla Monroe’s Uptown House con una piccola band che diede vita allo sconosciuto nuovo jazz, il be-bop.
Allo stesso modo di Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Bud Powell e Kenny Clarke, studiò le esperienze ritmiche e armoniche che ogni musicista aveva effettuato durante le proprie ricerche. Pur essendo all’inizio di quella fase, preferì lavorare da solo. Per poterlo fare arrivava nei club in cui si sarebbe esibito la sera, prima degli altri, oppure vi rimaneva dopo lo spettacolo.
Secondo il batterista Art Blakey, "Monk fu quel ragazzo che diede inizio a tutto; arrivò prima sia di Parker che di Gillespie". Ciò rimane un contenzioso ancora dibattuto, ma non c’è dubbio che Monk fu uno dei primi che stimolò la nascita di questo nuovo movimento.
Il modo di suonare di Monk non fu paragonabile a nessuno, come indiscutibile fu la sua capacità intuitiva di solista. Anche il suo modo di suonare non cambiò, e si può tranquillamente affermare che, negli ultimi quarant’anni, il suo stile solistico permeò tutta la sua alterna carriera. Le splendide esecuzioni fatte nel 1952 con il suo trio per la Prestige, potrebbero essere prese come termine di paragone per l’analisi del suo stile, e ascoltando per la prima volta queste incisioni, sarebbe facile convincersi del fatto che gli accordi "sbagliati" che si possono ascoltare, erano la conseguenza di un analfabetismo musicale, e non il prodotto di un "orecchio" altamente sensibile.
In realtà, fu questa ingenuità, questo paradossalmente raffinato senso per l’armonia, che fecero proliferare quelle meravigliose composizioni che fiorirono in lui. Blue Monk, Round Midnight, la stupenda Ruby, My Dear, e Evidence che si possono ascoltare in questo disco, sono la dimostrazione della superiorità di Monk, un compositore che concepiva le melodie con la consapevolezza di un solista di pianoforte.
A Monk non piaceva lavorare alle dipendenze di altri. Nel 1942, fu con Gillespie nella Lucky Millinder Band, e nel 1944 registrò con Coleman Hawkins. Dopo queste esperienze diresse generalmente proprie band, rimanendo per un certo periodo nell’ombra, conosciuto sì dai musicisti di New York, ma sostanzialmente ignorato dalle case discografiche. Tra il 1945 e il 1953 fece solo nove session d’incisione, grazie solo alla direzione artistica della Blue Note.
Fortunatamente, verso la metà degli anni Cinquanta, le cose cominciarono ad andare meglio; venne scoperto dai media e da una nuova generazione di fans. Iniziò quindi una serie di concerti in tutto il paese con il suo quartetto, la formazione che a suo avviso, gli permetteva di esprimersi al meglio. Per quanto riguarda gli strumenti ad ancia, la sua attenzione era rivolta ai sassofonisti tenori il cui elenco era composto da nomi di prim’ordine. Sonny Rollins era il più tranquillo, e tendeva a semplificare i propri assoli, modificandoli, per poter meglio penetrare l’universo di Monk. L’idea che la dissonanza non fosse una regola estetica e l’attenzione posta sul tempo e sulla sua ripartizione, permisero a John Coltrane di conseguire dei risultati eccellenti. John Griffin tendeva a fare di testa sua, e fu finalmente con l’arrivo nel 1959 di Charlie Rouse, che Monk avrebbe iniziato la collaborazione più duratura della sua carriera.
Charlie Rouse era nato a Washington nel 1924, e nei primi anni aveva suonato con Billy Eckstine, Dizzy Gillespie e con Duke Ellington. La cooperazione musicale con Monk, che anche per lui fu la più lunga, rappresentò tuttavia, un impegno estremamente coinvolgente, e si può quasi tranquillamente affermare che riuscì ad interpretare la musica di Monk meglio di qualsiasi altro sassofonista. Larry Gales, nato a New York nel 1936, e Ben Riley, nato a Savannah nello stato della Georgia nel 1933, verso la metà degli anni Sessanta si unirono a Monk, dando vita alla formazione che si può ascoltare in questo disco.
Rouse era già adatto ad un quartetto, e in Jackie-ing dimostra l’abilità nel saper comprendere il singolare tormento del piano di Monk, un suono pressoché cupo. E in Ruby, My Dear, sicuramente una delle più belle composizioni di Monk, palesa ancor più questa complicità. Qui Rouse si esprime in un tributo alla delicatezza, con una linea che con la sua energia compenetra la melodia bilanciandola. Nell’esecuzione introduce delle proprie interpretazioni, delle parafrasi che sembrano in armonia, ma che non si discostano mai dalla melodia originale.
Se c’è un brano che caratterizza il senso che Monk ha del tempo, quello è proprio Evidence. In esso vi è un’angolosità innata, e ciò che sorprende è che l’assolo di Monk si basa più sulla ripetizione del motivo piuttosto che sulla casualità delle precedenti versioni registrate. Esso induce Rouse a sorvolare sulle spigolature piuttosto che ad accentuarle, un tentativo non grave di alterazione, di questo superbo pezzo.
La lunga e impegnativa I’m Getting Sentimental è una stupenda esecuzione, un classico esempio di standard melodico poi totalmente personalizzato da Monk, interpretata da Rouse come fosse un brano composto da Monk, con il pianista che aggiunge, in un brano che normalmente viene paragonato a una nobile signora, i propri eccessi idiosincratici e armonici. Gales e Riley nell’accompagnamento sono allo stesso modo irriverenti, e forse lo sono ancor più in questo brano che mostra quanto velocemente queste quattro persone siano diventate una compagine.
Solo in April in Paris l’assolo di Rouse è meno fedele allo stile di Monk, orientandosi più verso la melodia originaria. Al contrario, Monk vi pone con fermezza la sua impronta con un assolo denso di accordi scardinanti e passaggi deliziosamente aritmici. Sia Monk che Rouse, pur avendo suonato Sraight, No Chaser migliaia di volte, riescono ancora a conservarne la freschezza del suono. La conoscenza intima del brano, non scivola nell’eccessiva confidenza, e sebbene il pianista si sia ripetuto per anni, non è mai caduto nella banalità.
Il gruppo si sciolse definitivamente nel 1970. In seguito Monk lavorò per qualche anno con l’establishment dei Giganti del Jazz. Nel ‘74 e nel ‘75 non fece granché e l’anno successivo apparse al pubblico per l’ultima volta. Da quel momento sino alla morte, che lo avrebbe colto nel 1982, le sue condizioni di salute non sarebbero state buone. Uno dei veri Giganti del jazz se ne era andato. L’eternità della sua musica non si lasciò mai irritare dai cliché propri di una particolare era del jazz, e ciò che raccontò attraverso il pianoforte fu sempre sé stesso. I suoi critici sostennero continuamente che non avrebbe mai potuto suonare come Oscar Peterson; ma ciò che è certo è che l’illustre pianista canadese non avrebbe mai potuto suonare come Thelonius Monk.
—Barry McRae